Quando è partito il progetto Clificol? Quale è stata l’idea alla base della sua creazione?

Il progetto Clificol è partito alcuni anni fa dal desiderio di centralizzare una casistica omeopatica a livello internazionale e dall’idea di creare una cartella clinica “omeopatica” informatizzata e facilmente accessibile che, a differenza di quella convenzionale focalizzata sulla patologia, si concentrasse sull’approccio terapeutico adottato. La cartella clinica, infatti, è uno strumento di fondamentale importanza per il medico omeopata, che permette di prendersi cura del proprio paziente, attraverso la stesura di un’anamnesi familiare, patologica remota e prossima, e di prescrivere la cura più adatta.

Come funziona il progetto Clificol? Quanti medici vi hanno aderito?

Attualmente i medici iscritti al progetto Clificol sono circa 8.000-10.000. All’interno della piattaforma i colleghi hanno la possibilità di annotare il proprio percorso di approccio a un caso clinico – in forma anonima, specificando solo la data di nascita e il genere del paziente – e la prescrivibilità del medicinale omeopatico. La tutela della privacy è stata un tema centrale nella creazione di questo progetto: è stato creato un accesso protetto ai dati, è stato istituito un comitato scientifico internazionale e sono stati individuati coordinatori nazionali per garantire l’autorevolezza delle adesioni al portale.

La pandemia da Covid-19 ha condizionato in qualche modo lo sviluppo del progetto Clificol?

La pandemia da Covid-19 è cominciata mentre stavamo iniziando a ottimizzare la piattaforma ed è stata una spinta nel processo di coesione tra gli omeopati che desideravano dare un contributo durante il periodo di emergenza sanitaria. Abbiamo iniziato a raccogliere casi su quello che all’epoca era un virus sconosciuto e abbiamo aperto la piattaforma a colleghi non iscritti e che non avevano mai utilizzato il software in precedenza, concentrandoci sull’aiuto che l’omeopatia poteva dare ai pazienti. Il risultato è stato sorprendente e sono stati raccolti circa 2000 casi da tutta Europa – in modo particolare Italia, Francia e Spagna -, ma anche dagli Stati Uniti e dalla Cina.

Come è stato per il Covid-19, vi sono patologie specifiche per le quali può essere utile collezionare dati clinici sulla prescrizione del farmaco omeopatico? Come pensa che Clificol possa evolvere in futuro?

Le patologie per le quali può essere utile collezionare dati clinici sulla prescrizione del farmaco omeopatico sono certamente numerose, ma dobbiamo riuscire a individuare quelle per così dire “semplici”, che non generino reticenza da parte dei colleghi omeopati a inviare i dati dei propri pazienti. L’obiettivo sarebbe quello di sfruttare le iscrizioni già registrate tramite i coordinatori nazionali e, al contempo, di reclutare un numero sempre più ampio di medici, disposti a collaborare al progetto. Il prossimo passo per l’evoluzione del progetto Clificol sarà quello di focalizzarsi sulla menopausa, che diventa patologica quando compaiono sintomi fastidiosi e invalidanti per la donna. Altre casistiche che probabilmente prenderemo in considerazione per il futuro saranno le allergie e la resistenza all’antibiotico terapia.

In che modo un progetto come Clificol può contribuire a “rafforzare” il legame tra la medicina omeopatica e la medicina tradizionale?

C’è una “consapevolezza omeopatica” che deriva dalla necessità di avere un approccio metodologico condiviso in tutta Italia. Una delle critiche che più frequentemente viene mossa nei confronti della medicina non convenzionale è relativa alla prova di efficacia, che può avvenire solo tramite la ricerca e lo studio dei dati clinici. Con il progetto Clificol si instaura un processo virtuoso, che permette di sostenere l’omeopatia. Inoltre, per le nuove generazioni di medici, più abituate all’uso delle tecnologie informatiche, poter consultare una banca dati omeopatica informatizzata può essere non solo un elemento attrattivo ma anche trainante.