Il Congresso FIAMO 2025 dal titolo La condivisione dei saperi, tenutosi a Orvieto dal 28 al 30 marzo, è stato ricco di sessioni in plenaria, tavole rotonde e momenti di dialogo. In questa intervista, Bruno Galeazzi, Presidente FIAMO, racconta i temi principali emersi durante le tre giornate: dalla ricerca scientifica in omeopatia, all’importanza di una metodologia terapeutica comune, fino alle sfide per i giovani medici che scelgono di formarsi in omeopatia.
Si è appena concluso il XXI Congresso Nazionale FIAMO. Quali sono state le tematiche principali affrontate durante le tre giornate?
Il Congresso aveva come tema centrale la condivisione dei saperi e si è articolato in quattro sessioni: stili di vita, casi acuti, ricerca scientifica e metodologia terapeutica. Per ciascuna sessione abbiamo deciso di invitare un ospite esterno per contribuire al dibattito.
Tra i numerosi interventi, uno che ho trovato particolarmente interessante è stato quello sulla ricerca scientifica di Leoni Bonamin, Veterinaria esperta in patologia sperimentale e professore ordinario all’Università di San Paolo in Brasile, Bonamin ha parlato dell’opportunità rappresentata dall’omeopatia nell’ambito dell’agronomia e della veterinaria e del concetto di One Health, secondo cui la salute dell’ambiente, degli animali e dell’uomo sono tutti correlati.
Sono stati presentati, inoltre, due gruppi di lavoro avviati da FIAMO: il primo dedicato ai giovani medici, per favorire lo scambio di esperienze e la formazione continua tra colleghi che stanno terminando o hanno appena terminato il percorso di specializzazione. Il secondo è sull’agro-omeopatia, un settore in crescita che offrirà sviluppi importanti sia in termini ambientali che applicativi.
Nel suo intervento introduttivo, ha parlato dell’importanza di avere una metodologia comune, pur nella diversità di approccio terapeutico e di personalizzazione della cura nella pratica omeopatica. Può approfondire questa tematica?
La metodologia terapeutica comune è fondamentale per dare forza e coerenza all’omeopatia, pur nella diversità di Scuole e approcci. Attraverso la Conferenza di Consenso, avviata da FIAMO un anno fa, stiamo lavorando per trovare un accordo condiviso sui principi essenziali dell’omeopatia. Una base comune che non cancella le differenze tra le varie Scuole ma ci consente, di fatto, di definire l’aspetto epistemologico della scienza dell’omeopatia.
Riflettere sulla necessità di avere una metodologia comune permette anche di affrontare un nodo culturale importante. Per anni, l’omeopatia ha vissuto una fase in cui erano tante le Scuole e gli approcci, a volte in competizione. Ma oggi è in atto una fase evolutiva, si sta cercando di definire un linguaggio comune e un consenso sui fondamenti.
La figura del medico è cambiata drasticamente soprattutto negli ultimi anni, si parla di crisi della medicina e ci sono sempre meno medici di medicina generale. Quanto si riflette questa condizione sulla scelta di formarsi anche in omeopatia? C’è la necessità di nuovi medici esperti in questo ambito e perché oggi per un giovane medico è difficile scegliere di avere delle competenze in più?
Negli ultimi anni stiamo assistendo a una crisi della medicina, ed una carenza crescente di medici di medicina generale. Questo ha portato i giovani medici a concentrarsi inizialmente sulla formazione più convenzionale e solo successivamente ad avvicinarsi all’omeopatia. Spesso è l’esperienza clinica che spinge i medici a cercare nuove competenze. Quando si confrontano con i limiti della farmacologia convenzionale – per esempio, nella gestione delle recidive o delle patologie croniche – nasce l’interesse per le medicine complementari e per l’omeopatia che si propone come strumento terapeutico complementare o di primo approccio, a seconda delle situazioni. Il problema di fondo è che non esiste un percorso accademico universitario dedicato all’omeopatia. Ciò significa che un giovane medico si specializza in questa disciplina solo se sviluppa un interesse personale, che lo porta a formarsi attraverso Scuole di formazione private.
Per questo motivo, l’impegno di FIAMO è anche quello di cercare di sopperire – per quanto possibile – all’assenza di percorsi universitari convenzionali. Mancando un riconoscimento accademico, quello che facciamo è cercare di offrire le tre funzioni principali che di solito sono proprie dell’università. In primo luogo, la formazione attraverso il network delle Scuole associate, poi la ricerca, con i bandi finanziati anche grazie al 5×1000, e infine, la diffusione della cultura omeopatica, sia verso i professionisti che verso la popolazione generale. È un lavoro di comunicazione continua, attraverso tutti i canali e gli strumenti disponibili (come la nostra rivista Il Medico Omeopata, dedicata ai professionisti, la newsletter o i social).
Qual è uno degli aspetti che può suscitare più interesse in un giovane medico che si approccia per la prima volta all’omeopatia?
L’omeopatia è, per sua natura, una medicina sistemica. Vuol dire che guarda all’organismo come a un sistema complesso, in cui mente, corpo, emozioni e ambiente si intrecciano e si influenzano continuamente. Un medico omeopata, quando visita e ascolta il paziente, non si ferma mai al sintomo in sé, ma cerca di leggere dentro la sua storia personale: è un modo di lavorare che implica il comprendere la persona nella sua interezza e la malattia nel contesto della storia della persona. Spesso è proprio da questo che si trovano le chiavi per comprendere l’origine del disturbo e scegliere la soluzione terapeutica più adatta.