Professor Macrì, l’abbiamo vista partecipare alla presentazione dell’ultimo libro di Ivan Cavicchi “La scienza impareggiabile”. Partiamo da lì.
“Volentieri, perché quel libro e quel dibattito – che ho trovato parecchio interessanti – mi hanno suggerito una considerazione: concordo pienamente con il Prof. Cavicchi quando afferma che medicina e sanità si sono allontanate l’una dall’altra e che questo ha portato a un progressivo allontanamento di entrambe dalle esigenze e dal vissuto dei cittadini. Un esempio di questa disconnessione, a mio avviso, è dato dall’applicazione del “consenso informato” che voleva e doveva essere una modalità che consentisse a ciascun cittadino-paziente di essere attore del processo terapeutico, non solo spettatore interessato. Era un modo semplice e diretto, ma presto si è trasformato in una mera incombenza per i medici e per i pazienti, in un puro atto burocratico via via privo di contenuto. I motivi del fallimento sono molteplici, tra tutti il tempo contingentato. Ma questo dimostra come il sistema sanitario faccia sempre più fatica a tenere il passo con la situazione. Un altro fattore drammatico è quello dell’accesso alle terapie. Nel nostro Paese ci troviamo nella situazione che una parte crescente di popolazione non ha le risorse per accedere alle cure e un’altra parte si affida alle assicurazioni private”.
A fronte di questa situazione quali sono i rimedi possibili?
“Delineare i rimedi da mettere in campo è un processo articolato, che richiede il coinvolgimento di tutti i soggetti sociali interessati. Cavicchi nel suo libro avanza delle ipotesi sul piano concettuale, ma già l’aver individuato con precisione i punti critici è un merito indiscutibile del suo lavoro. Ad onor del vero, è giusto anche sottolineare che qualche cosa si sta muovendo: io stesso, ad esempio, ho partecipato a tavoli di lavoro istituiti dal Ministero della Salute su quello che viene chiamato il “modello predittivo”, il cui obiettivo è stabilire gli impegni che dal punto di vista della spesa sanitaria si devono prevedere per l’assistenza dei malati affetti da malattie croniche nelle diverse tipologie (cardiologia, oncologia, diabete, eccetera…). Un altro lavoro che è stato avviato è la messa a punto di un programma di prevenzione, basato sull’educazione a stili di vita adeguati, al miglioramento dell’ambiente, del contesto sociale e psicologico delle persone: anche questo è un percorso importante e positivo. Quindi delle strategie sono state pianificate, bisogna poi vedere come saranno messe in atto”.
Professore, da un lato lei viene chiamato, per la sua competenza, a partecipare a tavoli istituzionali che definiscono le strategie sanitarie per i prossimi anni. Tuttavia, lei è anche un omeopata che non fa certo mistero di questa sua specializzazione, tanto più ora con il suo nuovo incarico alla guida della SIOMI. Non c’è un comportamento un po’ schizofrenico in un certo mondo della medicina che da un lato bolla le medicine complementari come “non scientifiche” e dall’altro la coinvolge a così alto livello?
“I tavoli di cui dicevo prima si occupano per lo più di articolare l’assistenza sanitaria sul territorio e, purtroppo, l’omeopatia a livello territoriale ha pochi presidi se non in realtà isolate della Toscana. Però al di là di questo, all’interno della Federazione delle Società Scientifiche io sono coordinatore della commissione delle medicine complementari, quindi gli spazi per questi approcci terapeutici sono previsti istituzionalmente. Certo poi bisogna guadagnarseli, conquistando credibilità e autorevolezza. È anche vero che non mancano gli attacchi, soprattutto all’omeopatia, ma come ho detto nel mio intervento di insediamento come Presidente della SIOMI, anche se le rondini sono sempre di meno la primavera arriva lo stesso, così l’omeopatia, per quanti attacchi subisca continua a vivere e a svilupparsi”.
Sul tema della medicina e dell’approccio al paziente lei ha scritto un editoriale dal titolo molto curioso “Mc Donald e medicina”, ce ne può spiegare il senso?
Nella medicina, purtroppo necessariamente, si è cercato di adottare principi di tipo industriale-produttivo (vedi Mc Donald’s): cioè bisogna definire a priori i costi e quindi determinare in quei costi quanti interventi e di che tipo possono essere compresi, quindi definire anche tempi e qualità per il controllo della spesa. Se per un verso “misurare” le prestazioni anche in medicina ha senso, dall’altro la medicina sta cercando strategie che evitino la clusterizzazione e preservino, anzi promuovano, la personalizzazione della cura. Su questo fronte è di grandissimo interesse quanto sta avvenendo con la metabolomica: cioè lo studio sistematico dei profili metabolici in grado di caratterizzare i malati affetti dalla stessa malattia: in questo modo la diagnosi è individualizzata, con il progredire della ricerca sarà possibile individualizzare anche la terapia. Questa è una frontiera che apre notevoli prospettive terapeutiche. Un’altra strategia è quella fornita dallo studio del fenotipo e dell’endotipo: l’asma fino a non molto tempo fa sembrava un’unica malattia, ma ora grazie allo studio del fenotipo (caratteristiche cliniche) e dell’endotipo (biomarkers) se ne possono distinguere diverse tipologie e, a seconda dei casi, si agisce con i cortisonici o con altri farmaci. È molto interessante notare che anche in questo caso la ricerca scientifica sta dando ragione all’approccio terapeutico proprio dell’omeopatia: l’omeopatia infatti da sempre ha ragionato sulla personalizzazione della diagnosi e quindi della cura. In omeopatia, naturalmente, la nomenclatura per definire le differenti tipologie cliniche è molto diversa dall’attuale, ma la logica di approccio è molto simile: il fenotipo in omeopatia lo studiamo attraverso le sue caratteristiche fisiche del paziente, il peso, l’altezza, ma anche la forma delle mani, dei gomiti, la postura, la sua storia, mentre l’endotipo attraverso l’analisi di come si manifestano i sintomi della malattia. Nell’omeopatia l’analisi del fenotipo e dell’endotipo è un momento fondamentale del percorso terapeutico, il racconto della storia del paziente insieme all’osservazione delle sue caratteristiche fisiche e psicologiche. L’omeopatia però si è fermata a questo, non si è spinta oltre a determinare le ragioni per cui a un determinato endotipo corrispondono determinate caratteristiche non avendo a disposizione le conoscenze di genetica, di biochimica, di immunologia di cui disponiamo ora. Oggi siamo di fronte a questa affascinante fase: l’omeopatia trova nella ricerca scientifica la spiegazione delle sue intuizioni.
Lei è pediatra e quindi si occupa di bambini; come è possibile raccogliere le informazioni di cui lei dice da piccoli pazienti che, per forza di cose, hanno poca consapevolezza della propria storia?
In effetti l’anamnesi in omeopatia ha un ruolo decisivo. Come ho detto è già lì che inizia la formulazione della terapia, ne è una componente fondamentale. Il pediatra però deve ottenere le informazioni necessarie dai genitori che spesso sono anche in contraddizione tra loro, con gli inconvenienti che possiamo immaginare. In altre parole, occorrono tecnica, esperienza, tempo dedicato e una grande attenzione per fare una buona visita pediatrica”.