L’omeopatia per gli animali. Come si fa a instaurare il rapporto medico-paziente che sta alla base dell’approccio del medico esperto in omeopatia?
Con gli animali si fa come con i bambini piccoli in ambito pediatrico. Se con i bambini il pediatra parla con il genitore, nel caso del veterinario, il medico si rapporta con chi segue da vicino l’animale, chi lo conosce meglio. Molto dipende quindi dalla sensibilità e dalla capacità di osservazione della persona o delle persone (in caso di allevamenti) che si prendono cura degli animali.
Una volta decisa la terapia, sempre attraverso un attento monitoraggio si può capire se l’animale sta traendo beneficio. Come? Prima di tutto si controlla che i sintomi rientrino e che i valori clinici tornino alla normalità, poi si controllano indicatori di benessere come vitalità e appetito che ci dicono se l’animale è completamente guarito o meno.
In campo zootecnico poi la terapia è spesso di gruppo, come se il gruppo di animali che vivono nello stesso recinto o box fossero un unico individuo.
Per esempio, se cala il consumo alimentare di un box di animali si va a intervenire su tutti i capi del box, poiché non è possibile individuare il singolo o i singoli individui che stanno mangiando meno.
La terapia quindi viene somministrata a tutti e il monitoraggio avviene sul gruppo.
Come l’omeopatia aiuta a limitare l’uso degli antibiotici?
Il medico può utilizzare la medicina omeopatica in due modi: in via esclusiva, tipicamente in caso di infezioni lievi o ferite che potrebbero infettarsi, e qui l’uso di antibiotici scende drasticamente anche del 90%; oppure in modo integrato, in presenza di una forte infezione si ricorre in prima battuta all’antibiotico e poi si integra con l’omeopatia per andare a lavorare anche sugli effetti collaterali dell’antibiotico. In questo caso la riduzione dell’antibiotico è del 50%.
Se l’animale viene curato unicamente con omeopatia o con medicina integrata l’incidenza dell’antibiotico-resistenza si abbassa notevolmente: diversi studi lo confermano.
Si può usare l’omeopatia negli animali anche in via preventiva?
Sì, perché va ad aumentare la resistenza del sistema immunitario e limita i casi di infezione.
Quali invece le patologie in cui si usa l’omeopatia?
Le patologie dove si usa con più successo l’omeopatia di solito sono quelle di origine respiratoria, tipiche degli allevamenti di animali all’ingrasso, ma anche le forme diarroiche spesso di carattere virale (gli antibiotici in fase virale non servono).
In un allevamento curato con l’omeopatia c’è un’incidenza di malattie inferiore?
Assolutamente. Addirittura se ne fa uso anche in fase eugenetica e preventiva. I capi gravidi vengono sottoposti a terapia omeopatica per ottenere un patrimonio zootecnico più forte nei confronti delle infezioni, che si ammala meno e che viene gestito con l’omeopatico anche nei primi mesi di vita.
Possiamo affermare che ci sia una correlazione tra uso di farmaci e qualità della carne e quindi salute dell’uomo?
Sì, perché la carne di cui ci nutriamo potrebbe contenere residui antibiotici o batteri antibioticoresistenti a causa di un uso sbagliato ed eccessivo di antibiotici.
Gli antibiotici andrebbero utilizzati con grande oculatezza per dosaggi e tempi di assunzione corretti, proprio per evitare l’accumulo di residui.
Il 66/67% di antibiotici nel mondo viene utilizzato in zootecnia soprattutto negli allevamenti di maiale. Un requisito importante per esempio è non dare antibiotici negli ultimi 6 mesi di vita dell’animale. Chi rispetta questa regola lo comunica volentieri al consumatore, oggi più attento di un tempo a questi temi, poiché la garanzia di sicurezza e salubrità viene vissuta come elemento di grande valore.
L’altro rischio è quello della trasmissione di batteri antibioticoresistenti. Nel maneggiare carne cruda (specialmente pollame e carne suina) c’è il rischio che vengano trasmessi questi batteri all’uomo. Dal mattatoio alla cucina, chi maneggia la carne deve rispettare le regole di base di una corretta igiene: possibilmente usare i guanti usa e getta e lavare sempre molto bene mani, superfici e utensili di lavoro.
Infine, ricordiamo anche l’importanza dell’impatto ambientale. La trasmissione di questi batteri può avvenire anche attraverso le deiezioni animali disperse nell’ambiente e nelle falde acquifere limitrofe agli allevamenti. Un vegetale coltivato in queste zone rischia di assorbire i batteri antibioticoresistenti e l’uomo, di conseguenza, corre il medesimo rischio attraverso l’alimentazione.
Ci può dire, Dottore, alla luce di tutto questo quale è la carne più sicura?
Quella di pecore e capre, così come il loro latte e prodotti derivati. Questo perché gli allevamenti ovo-caprini vengono trattati poco e quasi solo esclusivamente per problemi parassitari, essendo loro spesso al pascolo.