Gli effetti del long e post Covid, noti a tutti dal punto di vista fisico, hanno anche ripercussioni di natura biopsicosociale di cui tenere conto. Più che in altri casi la pandemia si è strettamente legata a fattori ambientali e sociali tanto che già nel 2020 The Lancet ha proposto di parlare di sindemia, come insieme di problemi di salute, ambientali, sociali ed economici prodotti dall’interazione tra più patologie epidemiche. Ne abbiamo parlato con il dottor Luigi Turinese, medico esperto in omeopatia e psicologo analista di Roma.
Long e post Covid, quali sintomatologie?
Tra gli effetti indiretti della pandemia/sindemia ci sono sintomi difficilmente distinguibili da quelli del Long Covid. Otto persone su dieci soffrono o hanno sofferto di disturbi stress-correlati come cefalea, ansia, irritabilità, difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno. Tra gli adulti c’è stato un significativo incremento di casi di burn-out e anche negli adolescenti sono aumentati i casi di ansia e purtroppo il numero dei tentati suicidi. Anche i test, continuamente ripetuti anche quando non giustificati clinicamente, hanno alimentato l’ansia. Il confinamento ha causato un aumento di disturbi del sonno a causa del maggior tempo trascorso davanti agli schermi. Inoltre, un bambino su tre ha sviluppato obesità: per sedentarietà, mancata socialità e per l’aumento del consumo di cibo-spazzatura. Tutto questo a prescindere dal contagio.
Neurocovid, di cosa si tratta?
Spesso i sintomi elencati nel long e post Covid, come ad esempio serie crisi depressive, sono stati riscontrati anche in persone che non hanno contratto il virus. Questo fenomeno già ben spiegato alla fine dell’800 da Pierre Janet, padre della moderna psicotraumatologia, lo riscontro molto frequentemente nella mia pratica medica. Sappiamo bene come psiche e corpo siano strettamente correlati e come stati di ansia o di depressione possano andare ad incidere negativamente sul nostro sistema immunitario e sul corretto funzionamento del nostro organismo.
Le varie sintomatologie, rilevate sulla popolazione di cui sopra, possono essere raccolte sotto il nome di Neurocovid e sono straordinariamente simili a quelle causate dalla mancanza di interazioni sociali e dal clima di incertezza, legato alle restrizioni protratte e intermittenti, e da una comunicazione scorretta. I media sono certamente corresponsabili nell’aver innalzato oltre misura il livello di paura nelle persone. La comunicazione focalizzata a senso unico sulla “guerra al virus” ha suggerito come unica “arma” il vaccino, sicuramente fondamentale, ma ignorando fattori importanti come il terreno del paziente e l’ambiente sociale e fisico in cui egli era inserito. Sarebbe stato di grande interesse, invece, andare oltre il dato generico delle malattie preesistenti per comprendere quali altri fattori, legati alle caratteristiche dell’individuo, andavano a concorrere nei casi gravi o in coloro che non si sono ammalati.
Perché avvalersi di un approccio integrato?
Leggere il Long Covid soltanto alla luce dei fattori organici è dunque molto riduttivo. Nell’approccio della medicina integrata, sono molteplici e soggettivi i fattori di cui tenere conto quando si cura il paziente. E così anche per i casi di Neurocovid, data la loro complessità, la strategia migliore è intervenire in modo integrato, dove omeopatia e medicina fisiologica di regolazione possono dare un apporto decisivo, supportate da indicazioni dietetiche e attività fisica. Inoltre, è spesso consigliabile una psicoterapia, data la difficoltà nel distinguere i sintomi psicologici virus correlati da quelli dipendenti dalle condizioni psico-sociali in cui si è ritrovato il paziente a causa della pandemia e della sua gestione.
Penso sia stato miope non aver contemplato, fin dall’inizio della pandemia, l’inserimento nel CTS di consulenti psicologi, sociologi e ingegneri: questi ultimi avrebbero potuto suggerire le misure necessarie a bonificare, con adeguato riciclo, l’aria negli ambienti chiusi come scuole, uffici, metropolitane; mentre alle altre due categorie professionali si sarebbe dovuto chiedere lumi sulla comunicazione dei dati e sulla prevenzione di quella catastrofe che è stata di fatto la rottura del patto sociale, sfociata in una guerra di tutti contro tutti e nella demonizzazione di interi gruppi di cittadini, abusivamente e semplicisticamente compresi nella schiera dei “no-vax”.
Per concludere. La complessità del tema impone una visione dialettica che tenga conto degli aspetti psico-sociali non meno di quelli biologici. La sfida epistemologica che ne consegue è di alto profilo, perché offre la possibilità di realizzare un paradigma ulteriore di medicina integrata.