Si parla molto di crisi della medicina – ne parliamo anche nella nostra rubrica “Viaggio nella medicina che cambia”-. Il suo libro affronta di petto questo argomento, quindi, Professor Cavicchi, ci può raccontare come è nato questo libro e come si inserisce in questa attualità?

Vorrei evitare di fare grandi analisi filosofiche perché vivo sulla mia pelle la crisi che stiamo attraversando e sento il bisogno e l’urgenza di fare qualcosa di pratico. Esistono due mondi paralleli, uno si chiama sanità e uno si chiama medicina, i due dovrebbero dialogare tra loro, ma ancora vivono in parallelo. Il mondo della sanità nel 1978 è stato riformato, ma non è stata toccata la medicina. Tutto questo è risultato macroscopico negli ultimi due anni. La pandemia ha scosso le fondamenta della sanità e amplificato una crisi che ormai non può più essere ignorata: se è stato giusto riformare anni fa il sistema sanitario, è stato un grave errore non aiutare la medicina a ripensarsi, e quindi a ritrovare la sintonia perduta tra medicina e società. Le prassi delle professioni mediche restano invariate, Non c’è da stupirsi quindi se il medico di medicina generale continua a comportarsi come prima, nessuno gli ha detto che deve cambiare. Ma la società è cambiata ed è cambiata molto, mentre la medicina è rimasta ferma. Certo, non dal punto di vista del progresso scientifico ma è rimasta ferma nel suo apparato concettuale. La sua prassi non coincide più con la complessità della società. Anzi si è trovata a regredire, ad essere spiazzata e molti dei problemi legati alle professioni mediche soffrono questo spiazzamento.

Ci aiuti a capire meglio questa crisi e questo spiazzamento.

Mi sono preso la responsabilità di dichiarare formalmente che c’è una crisi della medicina, ed è un enunciato impegnativo perché dicendo questo ci si prende anche la responsabilità di trovare delle soluzioni. Nel mio libro ho ricostruito l’apparato concettuale della medicina, operazione che nessuno aveva mai fatto. Abbiamo sempre pensato che la medicina fosse una disciplina scientifica ma non è così. Prima della disciplina scientifica c’è una dottrina che orienta la disciplina scientifica e in questo caso è la filosofia positivista che orienta la medicina scientifica. Ma quella filosofia non è più in grado di rappresentare il nostro mondo, la sua complessità. Dall’ottocento a oggi è cambiata l’idea di natura, è cambiata la società, è cambiata persino la malattia, è cambiato profondamente il malato. Questo è lo scollamento tra l’impianto della medicina e la società: il paradosso è che mentre la medicina fa passi da gigante sul piano scientifico, la società si fida sempre meno della scienza. Gli individui non si fidano e vogliono essere coinvolti nel processo, nelle scelte, vogliono partecipare attivamente. Da un lato cresce la complessità, dall’altro si fa sempre più chiara l’idea della singolarità. Bisogna riavvicinare questi estremi, riportarli a combaciare.

Cosa possiamo fare per migliorare la situazione in cui ci troviamo ormai da troppo tempo?

Azzardo tre punti fondamentali: ripensare la formazione, l’autonomia del medico, la centralità del malato.

La formazione: insegno in una facoltà di medicina e vi assicuro che il modello di formazione utilizzato è fermo nel tempo, non ha riscontri con le complessità che i medici devono affrontare ogni giorno. La formazione del medico va ripensata radicalmente, è una formazione ancora riduzionista: noi dobbiamo ripensarla in chiave di complessità. Dobbiamo ripensare anche il valore delle relazioni: in passato per conoscere un fegato non avevo bisogno di avere una relazione, ma se io voglio conoscere il paziente con una malattia del fegato devo aprire un dialogo con il malato. E questa relazione non va intesa e banalizzata come amabilità e buona educazione: la relazione è una fonte di conoscenza.

L’autonomia del medico: come ha affermato il Dottor. Francesco Cognetti in un suo articolo “La società vuole che noi medici diventiamo dei giganti ma come facciamo se veniamo definiti giuridicamente dei nani?”. A questo punto bisognerebbe ridefinire lo statuto giuridico dei medici, perché se il malato è complesso e singolare come posso governarlo? Ma le normative costringono il malato in classificazioni standardizzate, di conseguenza il medico sarà sempre in difficoltà. Per questo bisogna allargare e non restringere il campo di autonomia dei medici. Abbiamo bisogno di un medico che abbia il coraggio di essere anche discrezionale nelle decisioni terapeutiche o nelle decisioni di percorso diagnostico, perché senza questa discrezionalità il medico non sarò più libero. Anche se mi affascina l’idea di modernizzare e ricontestualizzare la medicina nella modernità non potrà mai essere ridotta a qualche insieme di algoritmi.

Infine, la centralità del malato: mettere al centro il malato, le sue esigenze, la sua cultura, le sue scelte. Una ripresa di autorevolezza del medico e della medicina non possono che passare anche da questo punto. E mi auguro che i fermenti che ci sono, soprattutto in campo medico, possano portare a un cambiamento significativo e che il nostro lavoro, il nostro sforzo, la nostra ostinazione siano premiate in qualche modo.