Professor Martini lei è uno studioso di lunga esperienza che si occupa di medicina omeopatica in veterinaria. A che punto siamo oggi su questo fronte?
Oggi assistiamo ad un periodo di forte evoluzione e fermento. Nonostante le difficoltà del settore, legate alle restrizioni imposte all’omeopatia sulla registrazione dei farmaci, alla scarsa reperibilità di alcuni farmaci e anche alla campagna di disinformazione sull’omeopatia negli ultimi anni, la ricerca di nuovi medicinali e la sperimentazione va avanti e questo è un segnale positivo.
All’ultimo congresso della FIAMO, che si è tenuto lo scorso maggio a Firenze, sono stati presentati excursus di lavori molto interessanti condotti sui cavalli e anche esperienze dirette pluriennali condotte in allevamenti ovini e caprini toscani (ho apprezzato in particolare i risultati riguardanti il trattamento omeopatico delle parassitosi).
Inoltre, all’interno della FIAMO insieme ad altri colleghi studiosi, veterinari e medici, stiamo lavorando sulla presentazione scientifica dei case report in veterinaria (gruppo di studio CARE-VET), si tratta di casi guariti con l’omeopatia corredati di risultati delle analisi e di indagini strumentali condotte sugli animali a supporto e validazione delle conclusioni riportate. Il lavoro che stiamo facendo è molto importante anche per contrastare la disinformazione e lo scetticismo che oggi riscontriamo nei confronti dell’omeopatia e della sua efficacia. Nel prossimo numero del Medico Omeopata uscirà al riguardo un articolo della coordinatrice del gruppo, dott.ssa Roberta Sguerrini.
Un altro lavoro molto utile è quello che stanno conducendo diverse scuole nella catalogazione dei medicinali per gruppi di famiglie al fine di aiutare il lavoro del terapeuta nella scelta del giusto rimedio. Questo indica che la ricerca va avanti ed è certamente un fattore positivo.
Secondo lei c’è interesse da parte dei giovani veterinari o studenti verso l’omeopatia?
Non ho dati statistici alla mano, ma le posso dire che, benché abbia notato un grande interesse verso queste tematiche durante l’ultimo congresso FIAMO, ho registrato una bassa presenza di giovani.
Non credo sia solo un problema di formazione. Nel ’99 con l’entrata in vigore del primo regolamento europeo sulle produzioni animali biologiche (Reg. CE n. 1804/1999), che indicava come preferibili le cure complementari rispetto a quelle convenzionali, sembrava che l’utilizzo di tali terapie fosse diventato obbligatorio e molti allevatori biologici si erano messi a cambiare il modo di curare i loro animali per allinearsi al regolamento, c’era quindi richiesta di veterinari esperti e molti colleghi si iscrivevano alle Scuole e si specializzavano in omeopatia. Poi con il tempo la situazione è cambiata, i pionieri del bio si sono un po’ “spenti” e nei giovani è calato l’interesse verso questo tipo di materie. A questo si aggiunge l’influenza della campagna di disinformazione che ha reso le persone più diffidenti verso l’omeopatia e le cure complementari in generale. Resta però vivo l’interesse da parte di molti proprietari di pet, quindi nel settore degli animali da compagnia c’è ancora una forte richiesta.
L’utilizzo dell’omeopatia soprattutto negli animali domestici è diffuso. Quali sono i principali vantaggi nell’utilizzare l’omeopatia sugli animali?
Il ricorso all’omeopatia e più in generale di un approccio integrato, come ho detto, nel mondo pet è diffuso e in forte sviluppo. Altro discorso va fatto, invece, per gli animali da reddito. Qui la diffusione della conoscenza dell’omeopatia e il ricorso ed essa, anche in forma integrata, avrebbero un enorme potenziale. Negli allevamenti, spesso si abusa di antibiotici per questioni di fretta (sopprimere velocemente i sintomi senza porsi problemi di scelta terapeutica), di necessità (si interviene quando ormai non c’è più tempo e la malattia è in stato avanzato) e ragioni economiche (si ha paura di perdere il soggetto e le sue produzioni, e/o si sottopongono al trattamento tutti i capi di bestiame per evitare il contagio ed ulteriori danni). Con l’omeopatia abbiamo il vantaggio di limitare il ricorso all’antibiotico e contrastare il fenomeno dell’antibiotico resistenza che purtroppo è diffuso anche tra gli animali. In questo modo, potremmo avere animali più sani, non intossicati dai farmaci, da cui ottenere carne, latte, uova, miele e derivati di maggiore qualità biologica, privi di residui farmacologici e sicuramente preferibili per la salute umana.
Da ormai alcuni decenni si parla di zootecnia biologica che va in antitesi con il modello degli allevamenti intensivi. Questa disciplina si basa sui pilastri del benessere animale e su di essi fonda le pratiche di allevamento e cura degli animali.
Per quanto riguarda la cura degli animali, il regolamento europeo in vigore prescrive cure preventive, come per esempio l’uso di alimenti biologici di alta qualità, rispetto del comportamento naturale degli animali garantendo un movimento regolare e l’accesso al pascolo, accorgimenti che sicuramente stimolano le difese immunologiche naturali degli animali. In merito alle medicine, da utilizzare quando l’animale è malato o ferito, è specificato che i prodotti fitoterapici, quelli omeopatici e gli oligoelementi sono da preferirsi agli antibiotici o ai medicinali veterinari allopatici ottenuti per sintesi chimica. Si promuove quindi una medicina integrata dove i prodotti chimici possono essere utilizzati, con certe limitazioni, solo quando le cure naturali non ottengono i risultati sperati e per evitare tempi di guarigione troppo lunghi che possono arrecare sofferenza o disagi all’animale.
Una riduzione delle cure convenzionali e degli antibiotici va a vantaggio sicuramente della salute e della sicurezza dei consumatori potendo disporre di animali più sani senza residui di antibiotici. Ma per migliorare davvero la situazione bisognerebbe eliminare gli allevamenti intensivi, non solo ridurre l’uso di antibiotici, per far questo bisognerebbe anche andare oltre a quello previsto dal Regolamento del biologico. Ed in generale andrebbe limitato il consumo di carne. Servirebbe, insomma, un cambiamento culturale profondo.