La scienza è stata la sua vita. Per la precisione la chimica è stato il suo campo di lavoro, di ricerca, di insegnamento. Docente di Chimica generale e inorganica presso l’Università degli Studi di Firenze, il professor Andrea Dei, spinto – come lui stesso candidamente spiega – da questioni d’affetto (“mia moglie – dice – è un medico omeopata”) decide di mettersi a studiare uno dei principi più classici della medicina omeopatica, le microdosi, cioè l’annosa e contestatissima questione delle diluizioni.
“Acqua fresca, è questo il modo in cui i negazionisti dell’omeopatia hanno sempre liquidato la questione. In realtà nessuno di loro ha mai studiato e sperimentato e si sono trincerati dietro il paravento del cosiddetto numero di Avogadro. Io invece ho voluto guardarci dentro. La mia è la prospettiva di un chimico e, grazie alle strutture dei Dipartimenti di Chimica e Farmacologia dell’Università degli Studi di Firenze, ho cercato di capire non se l’omeopatia sia terapeuticamente efficace (quello penso possano dirlo i milioni di pazienti che vi ricorrono ogni anno e i loro medici che li consigliano), ma l’eventuale meccanismo di funzionamento”.
Qual è stato dunque l’obiettivo dei suoi studi?
Penso che l’omeopatia – esattamente come la medicina ortodossa – debba basarsi su principi scientifici. Il mio obiettivo è stato quindi quello di verificare come si comporta un principio attivo portato alle diluizioni omeopatiche e quali reazioni genera, e quindi se un farmaco omeopatico fa reagire “pezzi” di DNA. I miei studi e i miei esperimenti – mi preme chiarirlo – sono stati condotti con i metodi classici della ricerca chimica e scientifica.
Quali sono stati i risultati dei suoi lavori di ricerca?
Sorprendenti, decisamente sorprendenti. Anche se è doveroso e importante sottolineare che si tratta di una casistica ancora troppo bassa che deve essere ulteriormente rafforzata da altri studi e esperimenti. Ma per quel che i miei lavori hanno dimostrato – per altro validati dalla pubblicazione su riviste dall’autorevolezza scientifica non discutibile – ci sono due conclusioni molto significative:
- Tutti i farmaci omeopatici, anche quelli caratterizzati dalle diluizioni più elevate, contengono una quantità di principio attivo sorprendentemente elevata che non diminuisce in proporzione alla diluizione.
- Tutti i farmaci omeopatici studiati inducono una risposta biologica che non è proporzionale alla diluzione del farmaco stesso.
Infine, c’è un ulteriore fattore interessante, del resto già dimostrato e descritto da molti scienziati tra cui Schulz che lo scoprì, quello dell’inversione dell’effetto – la cosiddetta ormesi – per cui a basse dosi si nota una modesta stimolazione della parte interessata che, al contrario, è inibita alle alte dosi, che giustifica la legge del simile che è alla base dell’omeopatia.
Mi sta dicendo che l’omeopatia quindi sta trovando le sue basi scientifiche…
Si tratta di una affermazione troppo forte, che non mi permetto di fare. Direi piuttosto che sarebbe logico procedere nella ricerca in questa direzione, senza anatemi ma al contrario capendo che omeopatia e medicina ortodossa hanno le medesime origini, il medesimo obiettivo e debbono procedere insieme. Purtroppo, invece, mi pare che ancora ci sia molta diffidenza reciproca.