Le cure omeopatiche possono avere una attività biologica? A questa domanda negli anni ha provato a dare una risposta la dottoressa Leoni Bonamin con il suo team di ricerca. Laureata in medicina veterinaria, la professoressa Bonamin ha inizialmente valutato gli effetti delle soluzioni omeopatiche su animali infettati da parassiti, sotto la supervisione di un comitato etico e in conformità con le direttive relative alla ricerca sulla sperimentazione animale. Sulla base di modelli sperimentali, è stato studiato l’effetto dell’omeopatia nel processo di infiammazione e immunomodulazione, aiutando a comprendere i cambiamenti relativi alla forma e alla funzione degli organi nel loro complesso. Lo studio del sistema immunitario nel suo complesso ha poi permesso di avanzare ipotesi da un punto di vista cellulare e molecolare, che vanno al di là della semplice caratterizzazione dei sintomi.

Sono poi passati alle cellule isolate, conducendo studi con un ceppo di macrofagi – cellule appartenenti alla famiglia dei globuli bianchi, infettati con diversi agenti patogeni – che ha permesso di valutare le variazioni della loro attività in funzione dei trattamenti.

Il lavoro della professoressa si è concentrato in particolare sul parassita Leishmania amazonensis, responsabile della leishmaniosi, una malattia che causa disturbi cutanei o viscerali invalidanti, molto comune nelle aree tropicali. Questa ricerca ha portato a diverse pubblicazioni e presentazioni in occasione di conferenze internazionali e ha suscitato molto interesse, da parte di tutti i medici, sia omeopati che non.

Più recentemente, il suo lavoro di ricerca si è spostato sul tema dell’omeopatia ambientale, con l’impiego di organismi acquatici, in particolare microcrostacei, che non provano dolore, piacere o altre emozioni, come modelli alternativi agli animali vertebrati. A partire da questi modelli si possono identificare i cambiamenti funzionali o comportamentali durante il trattamento omeopatico, come ad esempio il miglioramento, grazie all’omeopatia, della “bioresilienza”, ovvero l’adattamento dei microcrostacei al loro ambiente.

Questo metodo è applicabile anche a vari sistemi biologici, come piante e microrganismi a dimostrazione che l’omeopatia ha un grande potenziale nel mitigare i problemi ambientali.

Il futuro della ricerca in omeopatia

Si possono esplorare molte aree di applicazione delle soluzioni omeopatiche: azione sui trattamenti fitosanitari, riduzione della resistenza agli antibiotici, produzione di alimenti sicuri e di alta qualità o sviluppo di un’agricoltura sostenibile. L’omeopatia è pienamente in linea con il concetto di “One Health” dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), che propugna un approccio integrato, sistemico e unificato alla salute pubblica, animale e ambientale.

Secondo la professoressa Bonamin, una maggiore interazione tra la ricerca fondamentale e la ricerca clinica (umana o veterinaria) in futuro potrebbe portare a grandi progressi.

LEONI BONAMIN

Dopo gli studi in medicina veterinaria, la dottoressa Leoni Bonamin ha conseguito il dottorato di ricerca in Patologia sperimentale presso l’Università di San Paolo (USP), entrando così nel mondo scientifico e in particolare nei campi della patologia clinica e della farmacologia.

Il suo interesse per l’omeopatia e per i suoi possibili meccanismi d’azione, la porta a frequentare corsi specialistici, adottando al contempo un approccio da autodidatta a questa metodica terapeutica. È dopo il conseguito del dottorato che, in qualità di insegnante presso due università private di San Paolo, inizia i primi studi sperimentali sull’omeopatia.