Rapporto medico-paziente
La relazione medico paziente è una relazione particolare, perché si basa sulla malattia o sulla promozione della salute, a seconda di come si vuole guardarla, ed è per questo caratterizzata da una asimmetria, perché paziente e medico non sono sullo stesso piano. Subentrano fattori come l’attaccamento, la complementarità stabile tra queste due figure, la condivisione di un obiettivo, l’intimità e alcuni aspetti di ritualizzazione. È pertanto evidente la presenza di una componente professionale, accanto ad una componente sociale, di relazione, che prevede processi di comunicazione verbale e paraverbale, funzioni cognitive, informazioni che il paziente dà e che il paziente riceve, funzioni di regolazione emotiva.
Progetto F.I.O.R.E. (Functional Imaging Of Reinforcement Effects)
Il Progetto Functional Imaging Of Reinforcement Effects (F.I.O.R.E.) è un’indagine sperimentale, strutturata su due studi sperimentali di neuroimaging, finalizzata a verificare l’influenza della parola sulla fisiologia del cervello. Nel primo studio, etichettato come “FIORE 1”, è stato analizzato come il cervello risponde a una relazione medico-paziente ottimale, mentre il secondo studio, nominato “FIORE 2”, ha evidenziato cosa avviene a livello neuronale quando la comunicazione medico-paziente non funziona.
Aspettarsi un miglioramento clinico, credere nella terapia alla quale si è sottoposti, avere fiducia nel medico curante sono elementi che attivano le medesime regioni celebrali dei farmaci. L’effetto placebo è il modello che permette di comprendere come parole e atteggiamenti possono avere un effetto positivo e riescono a modulare determinati sintomi.
Al contrario, l’effetto nocebo è legato a parole negative e inadeguate del medico, che provocano sentimenti di frustrazione e scarsa fiducia nei confronti della cura che viene prescritta, creando un’ansia anticipatoria e, in alcuni casi, un peggioramento della patologia.
Omeopatia e rapporto medico-paziente
L’omeopatia rivolge una grande attenzione alla relazione con il paziente e a una anamnesi dettagliata: tratta la persona della sua globalità, considerando l’intero contesto, dalla sua storia al momento specifico che attraversa, alle sue pulsioni e alle manifestazioni con cui la malattia si esprime. L’utilizzo del medicinale omeopatico prevede un approccio personalizzato e fornisce un trattamento legato ai sintomi ma anche alla persona nella sua interezza, al fine di aumentare l’efficacia della cura e anticipare l’evoluzione della patologia nel tempo.
Se è indubbio che in qualsiasi trattamento medico, inclusa l’omeopatia, può esserci un certo grado di effetto placebo, affermare che l’effetto clinico dei medicinali omeopatici sia imputabile esclusivamente ad esso è decisamente riduttivo. Su questa tematica si è espresso in più occasioni l’HRI (Homeopathy Research Institute) di Londra, un ente dedicato alla ricerca scientifica di alta qualità in omeopatia a livello internazionale. Secondo l’HRI, la teoria che gli effetti dell’omeopatia siano solo un effetto placebo non è supportata da alcuna evidenza scientifica. Esistono, infatti, studi randomizzati e controllati in doppio cieco vs placebo di elevata qualità che mostrano il reale effetto clinico del trattamento omeopatico rispetto all’effetto placebo. Inoltre, nell’ambito della ricerca fondamentale, esperimenti di laboratorio controllati e standardizzati evidenziano che le soluzioni omeopatiche hanno un’azione biologica tangibile e riproducibile su modelli vegetali, animali e neuronali.