Prof. Karp qual è la sua storia professionale: quando ha iniziato a studiare e, in seguito, praticare l’omeopatia?

Se oggi mi occupo di omeopatia, lo devo a mia moglie. Al 6° anno di studi, infatti, mi suggerì di ampliare le mie competenze, interessandomi ad altri ambiti che potessero essere di supporto alla mia formazione di medico. Ho quindi deciso di approfondire le mie conoscenze sull’omeopatia, non senza dubbi iniziali sul suo funzionamento e sulla sua efficacia, e durante il periodo di formazione ho avuto modo di confrontarmi con colleghi che già la praticavano. Inizialmente l’ho utilizzata in terapia per casi non gravi con ottimi risultati. È stata proprio l’esperienza diretta con questi pazienti a farmi rendere conto degli effetti che queste cure avevano sul loro organismo.

Mi sono accorto che, rispetto alla medicina di base, l’omeopatia mi permetteva di disporre di trattamenti più facilmente calibrabili in base alle specifiche esigenze dei pazienti. Da qui ho deciso di approfondire ulteriormente la disciplina, specializzandomi in omeopatia; ho conseguito due diplomi in terapie omeopatiche, iniziando così stabilmente la mia attività da medico omeopata.

Dopo essersi specializzato, quando ha iniziato a occuparsi di pazienti oncologici?

Non subito. All’epoca dei miei studi, circa 30 anni fa, il consiglio era quello di ricorrere a medicinali omeopatici per le sole patologie funzionali e non per quelle organiche in quanto, per queste ultime, non si considerava opportuno praticare l’omeopatia. C’era infatti molto timore nel trattare direttamente patologie complesse, come l’infarto o i tumori, con quelli che venivano considerati “semplici granuli”. Venivamo scoraggiati quindi a prendere in carico malati con quelle patologie. Così facendo, però, mi sembrava quasi di abbandonare i miei pazienti proprio nel momento in cui avevano più bisogno: è così che ho cominciato a piccoli passi ad interessarmi anche di patologie più complesse, rendendomi conto ben presto che l’omeopatia poteva essere utilizzata a supporto delle altre cure.

All’inizio l’ho fatto con discrezione perché c’era molto scetticismo a riguardo. In seguito, avendo constatato che le cure omeopatiche in affiancamento alle terapie tradizionali fornivano buoni risultati, ho iniziato a condividere con gli oncologi i risultati ottenuti, specificando che non si trattava di cure alternative, ma di interventi su alcuni effetti collaterali dei tumori e delle terapie per trattarli, come la diarrea, la fatica, l’apatia. Gli oncologi hanno quindi iniziato a monitorare i miei risultati e col tempo si sono convinti dell’efficacia degli esiti ottenuti, chiedendomi dopo qualche anno di collaborare alla creazione della “consultation des soins de support”, ovvero consulta delle cure di supporto, all’interno del dipartimento di oncologia dell’ospedale di Troyes dove tutt’oggi opero.

Nel frattempo era stato pubblicato, edito dal CEDH (Center for Education and Development of Homeopathy), un libro molto importante a firma di Jean Lionel Bagot sulle cure di supporto in oncologia. Ciò ha facilitato molto il nostro lavoro perché finalmente un testo autorevole sosteneva il nostro operato, legittimandolo e consentendo di operare in maniera più ufficiale.

Mi sono formato anche attraverso un diploma universitario in oncologia clinica presso l’Istituto Gustave Roussy. L’insieme di queste esperienze mi ha permesso di scrivere un libro sui trattamenti omeopatici di supporto in oncologia con il farmacista François Roux1.

Oggi in Francia un malato oncologico ha intorno a sé un’equipe medica che raccoglie diverse specializzazioni, non solo il chirurgo. Ci può spiegare meglio qual è l’approccio terapeutico e se in quest’ultimo l’omeopatia e i medicinali omeopatici trovano un’integrazione?

Fino a circa quindici anni fa il paziente oncologico era preso in carico solo dall’oncologo, che decideva in autonomia come trattare tutti i sintomi. Potevano esserci quindi grandi disparità di trattamento tra i malati, a seconda di dove e come lavorasse l’oncologo che era l’unico specialista deputato alla cura.

Il Presidente Jacque Chirac è stato il primo a voler mettere a punto un sistema per assicurare a ogni paziente oncologico l’accesso alle cure più efficaci. Varie specializzazioni sono state dunque aggregate in un unico centro oncologico, in modo da poter avere servizi multidisciplinari a disposizione del malato.

In seguito, è stato sistematizzato lo scambio di informazioni attraverso “riunioni di concertazione multidisciplinari”, ossia riunioni obbligatorie sul singolo caso in cui l’oncologo di riferimento del malato sottopone il dossier ad altri esperti, affinché insieme si determinino le cure necessarie al caso specifico. Tra i medici coinvolti di solito ci sono l’oncologo, il chirurgo, il radioterapeuta, ecc. Questo iter è integrato nel “Plan cancer” – un piano contro il cancro – e viene attuato per tutti i malati, in modo che ricevano un parere collegiale. Nei piani implementati successivamente sono state definite anche quali sono le cure di supporto, riconoscendo al paziente il diritto di farne domanda. Per cure di supporto si intendono tutte le cure e i trattamenti necessari al paziente oncologico, parallele a quelle specifiche per il trattamento del tumore.

Quando il processo che ci ha appena descritto è diventato obbligatorio in Francia?

L’obbligatorietà è subentrata con il secondo “Plan Cancer” (2009 – 2013). Le cure di supporto, che adesso sono a disposizione in tutti i centri, riguardano i trattamenti atti a risolvere effetti collaterali come nausea, dolori o stanchezza attraverso, per esempio, l’attività fisica, l’agopuntura e l’omeopatia. Gli omeopati sono stati quindi legittimati ad operare in quest’ambito. Noi non interveniamo direttamente sul tumore, ma operiamo in parallelo a complemento delle cure specifiche.

Dopo tanti anni di esperienza posso dire che per l’omeopatia trovare un ruolo nelle cure di supporto è stato abbastanza naturale e introdurre questo approccio integrato in Francia non è stato un problema perché l’omeopatia era già molto diffusa e largamente riconosciuta. Attualmente si valuta che il 40-50% dei pazienti oncologici ricorrano all’omeopatia come terapia di supporto, sia perché consigliati dal medico sia perché già convinti di farne uso.

Quindi i pazienti in Francia reagiscono bene alla proposta di ricorrere all’omeopatia?

Sì assolutamente. Attualmente sono più di venti i centri specializzati ad avere anche la sezione di omeopatia come cura di supporto.

Qual è il ruolo del medicinale omeopatico nel programma di trattamento di un malato oncologico e come cambia nel percorso di cura?

La tipologia di cura dipende molto dal paziente e viene calibrata sulle sue esigenze, che cambiano nel corso del trattamento. Ogni paziente ha infatti necessità differenti che dipendono dal tipo di tumore, dal momento in cui viene diagnosticato e dal tipo di trattamento impiegato. Ci sono pazienti per i quali non è necessario ricorrere subito all’omeopatia, ma è un’integrazione che viene fatta dopo l’operazione oppure quando vengono sottoposti a chemioterapia o radioterapia. Per altri, invece, si ricorre ai medicinali omeopatici sin dalla diagnosi della malattia, un momento molto destabilizzante nella vita del paziente. La reazione dei pazienti al ricorso all’omeopatia nelle varie fasi di cura varia di caso in caso.

A mio avviso, il supporto maggiore che l’omeopatia può offrire è ai pazienti sottoposti a chemioterapia, ma è ugualmente molto utile dopo gli interventi chirurgici, nei casi di radioterapia o ancora durante la terapia ormonale. Il 40% delle donne, infatti, la interrompe a causa degli effetti collaterali, in particolare dei dolori muscolo-scheletrici. L’abbandono delle terapie è però una perdita di opportunità per i pazienti perché aumenta il rischio di recidive. In un lavoro di tesi pubblicato in una rivista referenziata, abbiamo dimostrato che le terapie omeopatiche riducevano significativamente questi dolori.

L’omeopatia è poi utile anche nei pazienti guariti, per far fronte agli stati di ansia. Mi è capitato, infatti, che i pazienti in seguito all’interruzione della terapia oncologica lamentassero un generale stato di malessere, o fossero fortemente destabilizzati. In questi casi l’intervento dell’omeopata mira a trovare un equilibrio. Le cure quindi vengono definite sulla base della situazione specifica in cui si trova il paziente.

Le è mai capitato che un paziente rifiutasse le sue cure o, recentemente, ha notato un cambio di atteggiamento verso i medicinali omeopatici proposti, a fronte della non più rimborsabilità in Francia di queste cure?

I pazienti si possono raggruppare in due categorie, quelli che conoscono già l’omeopatia e non hanno bisogno di essere indirizzati verso queste terapie, e quelli invece che non la conoscono ma vengono consigliati o dall’oncologo curante o dall’infermiera incaricata di orientare il paziente dopo la diagnosi. In Francia, infatti, esiste una figura specifica – l’infirmière d’annonce – che accompagna il paziente nei momenti cruciali che vanno dalla diagnosi ai primi trattamenti; è lei a presentare tutte le opzioni disponibili nell’ospedale in cui opera, tra cui quindi le cure di supporto. Non è detto che, quando un paziente non conosce già l’omeopatia, accolga il suggerimento dell’infermiera di integrarla nelle cure.

Invece, se è l’oncologo a consigliare l’omeopatia abbiamo notato un’adesione quasi totale tra i pazienti. In ogni caso, iniziata la cura di supporto, mai nessun paziente ha deciso di interromperla. Capita spesso invece che, a fronte di uno scetticismo iniziale, il paziente decida di affidarsi in seguito alle cure di supporto.

Per quando riguarda un cambio di atteggiamento, io personalmente non lo sto riscontrando. È vero che i pazienti francesi stentano a credere che le cure omeopatiche non possano essere più rimborsabili, ma ciò non li induce ad abbandonare la cura o a cambiare opinione sull’efficacia delle cure omeopatiche.

In conclusione, dopo 25 anni di lavoro con pazienti oncologici, in particolare dal 2003 all’interno programmi del Plan Cancer, posso dire che il feedback dei pazienti sull’omeopatia è sempre stato più che positivo.

1 Jean-Claude Karp, François Roux, Trattamenti omeopatici di supporto in oncologia, Edra.

 

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