Saranno forse meno vulnerabili davanti al Covid-19 rispetto ai loro nonni, ma non per questo stanno vivendo meglio questo nostro tempo sospeso. I nostri ragazzi – e parliamo di quella fascia ampia di popolazione che va dai 10 ai 18 anni, pari a circa il 16% di italiani – stanno soffrendo di un male oscuro che si manifesta sotto diverse forme, tra cui un minore numero di ore di sonno, stati d’ansia crescenti e sempre più diffusi e, per i soggetti più sensibili, sintomi depressivi. Lo dicono con chiarezza alcune ricerche, come quella svolta dal dipartimento di Salute mentale dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità o quella sviluppata da Laboratorio Adolescenza che ha messo in evidenza che il 15% dei ragazzi soffre di disturbi del sonno, raddoppiando il 7% del pre-Covid-19, e il 25% in più lamenta disturbi alimentari. Come intervenire in questa situazione? Quali azioni e, se necessario, quali terapie si possono mettere in atto? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Adelia Lucattini, psichiatra, psicoanalista ed esperta in medicine complementari.
Che impatto psicologico ha riscontrato sugli adolescenti, durante questo anno di pandemia?
Come tutte le fasce della popolazione, anche gli adolescenti hanno risentito di questa situazione, seppur in modo differenziato nelle diverse fasi della pandemia. Shock e “disturbo post traumatico da stress” sono emersi nei primi mesi di fronte a questo evento improvviso, inaspettato, mai immaginato e di cui non c’era una memoria collettiva. Tuttavia, i sintomi correlati all’ansia e alle paure emerse sono regrediti in breve tempo: durante il lockdown c’era ancora l’illusione che le restrizioni imposte sarebbero servite a risolvere la situazione. A partire dalla seconda ondata, invece, la constatazione che la malattia era presente su tutto il territorio nazionale e poteva colpire anche i giovani, ha fortemente traumatizzato gli adolescenti. Inoltre, è stato chiaro che non sarebbero potuti tornare presto alla vita di prima. Come conseguenza, le richieste di sostegno psicologico sono aumentate in maniera significativa e inaspettata. Oggi, osserviamo moltissimi sintomi depressivi che si accompagnano ad attacchi di panico, a crisi d’ansia, insonnia e disturbi alimentari. Sono fortemente aumentate anche le cefalee che giungono all’attenzione dello specialista
Quanto ha pesato l’impossibilità di frequentare regolarmente la scuola? Tutta colpa della DAD?
Personalmente ritengo che il problema non sia tanto la DAD, quanto i cambiamenti repentini senza un adeguato preavviso e senza una prospettiva temporale definita e precisa rispetto alla durata della pandemia. L’incertezza che si è venuta a creare porta ad una sensazione di pericolo, moltiplica l’angoscia e la paura, mina nei ragazzi la sicurezza e la stabilità emotiva.
Certo, la didattica a distanza ha tolto il contatto con i compagni, che rappresenta un’esperienza necessaria nella costruzione dell’identità di gruppo e sociale di un adolescente. Se da un lato la micro socialità è stata mantenuta, quello che è mancato, e può creare un ritardo nella maturazione dei più piccoli, è la socialità specifica che si forma all’interno del gruppo-classe. Proprio per questo motivo, gli studenti delle medie e dei primi anni delle superiori hanno vissuto la chiusura delle scuole come un grosso disagio. I ragazzi delle ultime classi delle superiori, più tecnologici e già proiettati all’università, hanno sofferto di più per il mutare continuo dell’organizzazione, ma hanno reagito positivamente alla DAD, avendo maggiori competenze tecnologiche. Ricerche recenti dell’Università di Trento hanno evidenziato che i ragazzi auspicano che alcuni elementi della DAD possano essere mantenuti anche a fine pandemia, ad esempio per poter seguire anche se infortunati o sto ad andare a scuola. È innegabile che questa situazione eccezionale stia causando sofferenza, ma non è detto che tale sofferenza porti necessariamente a un disagio psichico della stessa intensità in tutti o permanente.
Come si può intervenire per ridurre la sofferenza dei giovani e aiutarli a superare questo momento?
Una parte dei sintomi che osserviamo sono espressione dell’evoluzione del “disturbo post-traumatico da stress”, chiamato “disturbo da disadattamento”, che necessita psicoterapia, psicoanalisi, cure farmacologiche e in adolescenza anche un’integrazione con medicinali omeopatici, fitoterapici e nutraceutici.
Nell’ambito dei disturbi psicologici, i pazienti in età adolescenziale presentano spesso una sintomatologia eterogenea – ansia, insonnia, depressione, fobie somatiche, difficoltà nello studio – che può essere o all’interno di uno scivolamento depressivo o espressione di disturbi d’ansia puri che restano circoscritti a forme più lievi.
È evidente quindi che la terapia non può essere la medesima ma deve essere personalizzata, centrata sul paziente, utilizzando tutti gli strumenti terapeutici a disposizione che si sono dimostrati efficaci, affiancando il trattamento psicoanalitico con terapie farmacologiche convenzionali e complementari, laddove necessario.
Quale può essere il contributo delle medicine complementari in questi casi?
La medicina integrata è un’opportunità importante. Nei casi di adolescenti che non abbiano un’indicazione clinica alla prescrizione di farmaci convenzionali, può essere indicata una terapia farmacologica di supporto con politerapie che tengano conto delle necessità e specificità del paziente; nel caso in cui invece abbiano necessità di farmaci antidepressivi e ansiolitici, può essere molto utile un’integrazione con farmaci omeopatici e anche con prodotti fitoterapici, integratori e nutraceutici, tenendo presenti per questi ultimi le possibili interazioni.
In età evolutiva, per esempio, è cruciale per il benessere dei pazienti che la terapia farmacologica non impatti negativamente su attenzione e concentrazione. Quando gli adolescenti hanno necessità di assumere un antidepressivo o terapie importanti per l’emicrania o assumono stabilizzatori del tono dell’umore, un’integrazione della terapia di base con i medicinali omeopatici e fitoterapici può essere un valido sostegno per aiutarli nello studio. Inoltre, un’integrazione mirata, a fronte di una corretta diagnosi e di una conoscenza farmacologica approfondita, può aiutare nel modulare il dosaggio di quei farmaci che creano adattamento e potenziale dipendenza, e nel migliorare in modo significativo la qualità di vita dei ragazzi.
C’è un consiglio che mi sento di dare: prima di qualsiasi intervento terapeutico, è fondamentale e necessario instaurare da subito un dialogo e un confronto con i ragazzi per esplicitare quello che stanno vivendo e individuare precocemente eventuali disturbi. In molti casi è altrettanto importante instaurare un rapporto con i genitori nel rispetto della privacy e del bisogno di autonomia degli adolescenti poiché anche i genitori possono avere bisogno di un supporto personale e necessità di strumenti per comprendere ed aiutare i propri figli.
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