Dottoressa Nuovo, come si è avvicinata alla medicina omeopatica?
Non ancora ventenne ho avuto problemi di salute importanti e, dopo diverse visite specialistiche, un caro amico mi ha consigliato di fare una visita da un omeopata: nonostante all’epoca i miei genitori fossero contrari, io ho voluto proseguire e da qui è nato il mio percorso di approfondimento di questa opportunità terapeutica. Grazie alla mia esperienza personale, e alla guarigione, ho iniziato ad approfondire la medicina omeopatica, facendo ogni corso e formazione disponibili. Poi, 10 anni fa, insieme a un gruppo di colleghi e amici veterinari, abbiamo fondato la SIOV, Società Italiana di Omeopatia Veterinaria, grazie alla quale formiamo ogni anno giovani veterinari alla pratica omeopatica.
Avrà sicuramente letto la notizia dell’azienda agricola reggiana premiata per l’uso della medicina omeopatica nella cura delle vacche rosse per la produzione del parmigiano reggiano: vorremmo entrare un po’ più nello specifico per quanto riguarda l’uso dell’omeopatia nel mondo animale, ma soprattutto approfondire se esiste o meno l’effetto placebo su di loro.
Premetto che io mi sono sempre occupata di animali di piccola taglia, soprattutto cani e gatti, e che da anni mi occupo prevalentemente del comportamento dei nostri amici a 4 zampe. Infatti, pur essendo una clinica, negli ultimi anni ho lasciato indietro quella che è la pratica chirurgica, a meno di urgenze o consulenze specifiche. Sicuramente l’effetto placebo è una caratteristica che si sviluppa sempre quando c’è una relazione di cura: uno studio in Germania ha mostrato che i topini usati in laboratorio per diversi esperimenti, in caso di relazione improntata al gioco con gli umani, non avevano più bisogno della ricompensa per compiere determinate azioni. Questa è una scoperta meravigliosa, perché fa capire quanto la relazione uomo-animale sia fondamentale per la riuscita. Quindi, se parliamo di animali che vivono a contatto con l’umano, come cani e gatti, non possiamo negare l’esistenza di una forma di effetto placebo, ma, a differenza degli umani, gli animali non hanno sovrastrutture e sono molto più veloci nei processi di guarigione e miglioramento, e quando manifestano il loro benessere è talmente evidente che non possiamo parlare solo di effetto placebo. La cosa è diversa se invece si prendono in considerazione altri animali, come bovini, suini e polli, dove ci sono decine o centinaia di capi: in questi casi, gli allevatori che curano gli animali con metodi omeopatici diluiscono il rimedio o i rimedi negli abbeveratoi o i medicinali vengono spruzzati direttamente sui musi. Diventa allora difficile parlare di effetto placebo, perché la relazione uomo-animale non è diretta e la guarigione è strettamente legata alla cura. In SIOV sono presenti diversi veterinari che lavorano negli allevamenti e usano la metodologia omeopatica, soprattutto in Emilia-Romagna e Toscana – le due regioni più all’avanguardia in questo campo – e si sono accorti che c’è un sostanziale miglioramento sia per il benessere animale sia per la produzione di carne, latte e altri prodotti che, oltre ad avere una resa e qualità organolettiche migliori, risultano a residuo zero. C’è anche un altro aspetto da considerare: lavorando con animali di piccola taglia, mi sono accorta che anche i padroni cambiano il loro modo di approcciarsi con i loro amici a 4 zampe, aspetto fondamentale quando si tratta di curare una malattia.
E proprio parlando dei padroni, come reagiscono alla prescrizione di farmaci omeopatici per i loro animali domestici?
La mia realtà è molto diversa rispetto a un comune studio di veterinari: noi lavoriamo molto con la medicina omeopatica o con cure integrate. Il 90% delle persone che viene nel mio studio mi chiede a priori di curare gli animali con l’omeopatia, perché mi conoscono e sanno che ho molta esperienza. A chi invece non mi conosce, non impongo mai l’uso esclusivo di questi medicinali, soprattutto se le persone che ho davanti non sono d’accordo. Anche se, spesso, mi pento della mia scelta, perché con l’omeopatia sono abituata ad avere risposte molto più veloci, rispetto alle tempistiche della medicina tradizionale. Ma, al di là delle cure che posso prescrivere, all’inizio cerco sempre di avere un contatto diretto con paziente e cliente per capire al meglio la malattia, cos’è successo, ma soprattutto per conoscere meglio chi ho davanti.
Quindi anche nel caso degli animali, la narrativa omeopatica rimane? E come fate, dato che gli animali hanno un modo diverso di esprimersi rispetto al nostro?
Sono anni che mi occupo dello studio comportamentale di cani e gatti, quindi ormai so distinguere e analizzare le diverse situazioni. È vero, gli animali non parlano, ma bisogna essere bravi ad ascoltarli perché ogni specie ha il suo linguaggio, espresso ovviamente in modo etologico. Ecco perché agli studenti che scelgono i corsi della SIOV consigliamo anche lo studio del comportamento: ci sono colleghi che fanno delle lezioni per esempio sull’applicazione della medicina omeopatica veterinaria su serpenti, uccelli e roditori, che richiedono una specifica conoscenza. Ovviamente, nel caso della veterinaria, oltre ai comportamenti animali, bisogna tenere conto anche della narrativa del padrone: in alcuni casi può aiutare, in altri è fuorviante.
Tornando invece alla prescrizione e cura dei nostri animali, quali malattie permette di curare l’omeopatia?
L’omeopatia aiuta a curare moltissime patologie. Chiaramente, quando si analizza l’animale e si prescrivono i farmaci, vanno tenute conto diverse situazioni: la reattività, l’energia vitale e il grado di compromissione degli organi; se tutti questi parametri sono ancora in una buona condizione, l’animale può essere curato senza problemi con l’omeopatia. Inoltre, bisogna conoscere bene l’omeopatia, la materia medica e la metodologia: ecco perché ci teniamo molto alla formazione dei giovani veterinari. Inoltre, la medicina omeopatica ha oltre 3.000 sostanze ed è quindi importante non smettere mai di studiare, per capire bene cosa cercare e soprattutto che tipo di decorso può avere quel determinato paziente. Poi è ovvio che ogni medico sceglie in base a competenze, esperienza e paziente, in alcuni casi sono io la prima a prescrivere una cura integrata.
Nella sua carriera ha mai avuto delle sconfitte per via della metodologia usata?
Fino ad ora è stato molto raro: il metodo non fallisce, è l’analisi fatta prima della cura che ha fallito oppure del cliente che ha omesso particolari, o ancora della malattia che ha ridotto al minimo le funzioni vitali degli organi. Le incognite sia per un medico sia per un veterinario sono infinite, ecco perché tra colleghi SIOV ci confrontiamo spesso su metodologie e suggerimenti per pazienti. Personalmente, a me è capitato di sbagliare con il mio cane, anche se si sa che quando si è coinvolti emotivamente tutto diventa difficile: così, ho deciso di confrontarmi con i miei colleghi che mi hanno suggerito diverse metodologie, aiutandomi nella scelta della terapia da adottare.ù
Leggi anche: Il medico pragmatico