Essere pediatri al tempo del Covid-19: quanto sono cambiate le abitudini assistenziali dei medici e come si è modificato l’approccio delle famiglie, dallo scoppio della pandemia ad oggi? Lo abbiamo chiesto a tre pediatri di lunga esperienza: la dott.ssa Maria Elena Lorenzetti di Brescia, il dott. Mauro Mancino di Pesaro e la dott.ssa Lucilla Ricottini di Roma. Tre esperti che hanno in cura migliaia di pazienti e che condividono, nell’attività clinica, l’utilizzo di un approccio integrato. Dai loro racconti si evince come il Covid-19 abbia creato una nuova pediatria, modificando il modo di affrontare la gestione del bambino.

 

In prima linea contro la pandemia, i pediatri di libera scelta hanno assistito nell’ultimo anno a uno sconvolgimento delle proprie consuetudini assistenziali: nella prima fase della pandemia, una riduzione degli accessi agli ambulatori, anche per le visite di controllo; a questo si è aggiunto un intensificarsi dei contatti telefonici, spesso l’unico elemento di comunicazione tra pediatri e famiglie. A partire dai mesi estivi e soprattutto a settembre, con la riapertura delle scuole, c’è stata una parziale ripresa della frequentazione dei pediatri. L’attività legata al Covid-19 è rimasta piuttosto limitata, sia perché in Italia, fino a metà novembre, i casi diagnosticati in età pediatrica sono stati una percentuale esigua, sia perché i bambini positivi al virus hanno sviluppato in genere una sintomatologia lieve, quando non erano asintomatici.

 

Quello che è cambiato, è il quadro clinico dei piccoli pazienti. Ciò che è stato fatto in questi mesi per frenare il contagio del Coronavirus – il distanziamento, il lavarsi spesso le mani e l’uso delle mascherine – ha limitato molto anche la diffusione di altri virus. Le patologie più frequenti riscontrate, quindi, non sono più quelle legate a raffreddori e forme influenzali: le richieste di consulto riguardano contesti molto più profondi, di natura psicologica o correlati alle nuove condizioni di vita (e di didattica), come cefalee, problemi alla vista, disturbi del sonno, stati d’ansia, problematiche legate alla sfera comportamentale e neuropsichiatrica infantile.

 

Ci sono state per i più piccoli un po’ di regressioni a situazioni ormai acquisite di sviluppo psicomotorio, spiegano gli esperti. Si è assistito a un aumento dei casi di iperattività, a stati di irritabilità, a comparsa di tic stressogeni legati alla poca mobilità e allo stare in ambienti chiusi e piccoli. Si è riscontrato anche un aumento di casi di sovrappeso. Disturbi sintomatici, in modo diretto e indiretto, di una condizione forzata di chiusura e di limitazione delle normali attività.

 

Le problematiche più serie e difficili le ho riscontrate nei bambini piccoli della scuola primaria, dai sei ai dieci anni, più che nei bambini della seconda infanzia”, spiega la dott.ssa Ricottini. “Loro capiscono che c’è preoccupazione negli adulti, ma non ne comprendono fino in fondo le ragioni e hanno difficoltà a verbalizzare le emozioni interiorizzandole. Dalle medie in poi, i bambini e i ragazzi sentono moltissimo la mancanza della socialità ed entrano in stati depressivi anche gravi”.

 

In questo periodo complesso, sono tante le risorse messe in campo dai pediatri per sostenere le famiglie. Tra queste, la terapia omeopatica personalizzata può essere di supporto per le varie sintomatologie psicofisiche evidenziate. “Noi pediatri, siamo molto più di altre categorie di medici predisposti all’ascolto e abbiamo la fortuna di osservare la crescita progressiva del paziente, di seguire il bambino e la famiglia negli anni”, afferma la dott.ssa Lorenzetti. “Il paziente cresce con noi e così la sua storia. L’approccio omeopatico poi ci porta da una parte ad andare ancora più a fondo, a fare più domande, a cercare di collegare episodi e sintomatologia che altrimenti non verrebbero messi in relazione; dall’altra, a poter agire con una terapia di modulazione che non sia né sostitutiva né antagonista, ma che moduli la reattività del bambino o del paziente che trattiamo”.

 

Il dott. Mancino, ci racconta, utilizza abitualmente questo approccio, quando opportuno: “L’omeopatia ha sempre una buona possibilità di applicazione, soprattutto quando viene utilizzata in modo personalizzato. Le terapie omeopatiche poi vengono proposte di solito con persone che scelgono l’omeopatia, per cui si ha di solito una compliance alta”.

 

I medicinali omeopatici si sono dimostrati utili anche durante la pandemia: “Per quanto riguarda il Covid 19, non mi sono capitati casi con manifestazioni cliniche rilevanti. Tuttavia, il trattamento con medicinali omeopatici è risultato indicato, per esempio, per contrastare la stanchezza lamentata dalle persone che avevano contratto il virus”, aggiunge il medico.

 

Io propongo sempre terapie preventive alle famiglie per sostenere le difese immunitarie, non solo quest’anno con la pandemia”, ci racconta la dott.ssa Ricottini. “Ciò che è aumentato sono stati i disturbi gastrointestinali (dominanti rispetto a quelli respiratori) e quelli di natura psicologica. Sto ricorrendo all’omeopatia anche nella preparazione alla vaccinazione e in questo senso ho supportato molto gli adulti. La prevenzione è diventata lo strumento elettivo”.

 

Dello stesso avviso è anche la dott.ssa Lorenzetti: “E’ fondamentale che gli individui cerchino di mantenere un equilibrio psicofisico, perché senza questo l’organismo non riesce a far fronte ai cambiamenti esterni. Quello che possiamo fare noi medici è aiutare il paziente nel modulare le reazioni del corpo per cercare di riportarlo in equilibrio. In questo senso una terapia di regolazione e modulazione, come quella omeopatica, può essere molto importante”, conclude il medico.

 

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