Nel trattamento dei disturbi ginecologici, come la sindrome premestruale o la dismenorrea, come valuta l’efficacia delle terapie omeopatiche rispetto a quelle ormonali?
Ciò che dobbiamo subito prendere in considerazione, e che spiego sempre alle mie pazienti, è che nella vita di una donna, i disturbi ginecologici possono ripresentarsi in più momenti. La sindrome premestruale o la dismenorrea possono presentarsi nel corso della vita, dal menarca a 12 anni, per esempio, alla gravidanza fino alla menopausa.
La medicina tradizionale aiuta la donna tramite l’uso di ormoni. Una terapia molto diffusa è la pillola contraccettiva. Ma significa togliere la fertilità alla paziente: in assenza di ovulazione, le perdite di sangue che si verificano sono false mestruazioni. Potremmo dire che sembra quasi che l’evoluzione del corpo di una donna debba passare per forza dalla soppressione delle naturali fasi ormonali.
Prendiamo due facili esempi: il caso di una ragazza, che magari ha il suo primo ciclo mestruale all’età di 12 anni e che non ha necessità di una copertura anticoncezionale ma soffre di una sindrome premestruale dolorosa. E ancora, quello di una giovane donna che sta cercando di avere una gravidanza ma è soggetta a provare molto dolore quando ha il ciclo. L’assunzione della pillola contraccettiva non è una soluzione sostenibile in nessuno dei due casi.
L’omeopatia, invece, oltre a offrire una cura personalizzabile, è una medicina narrativa e di accoglienza: si ascolta il racconto della donna, si cerca di capire quale disturbo si presenta e in quale momento della sua vita ciò accade, di conseguenza si sceglie quale farmaco omeopatico può essere efficace. Ma se si parla di disturbi ginecologici, l’altro aspetto fondamentale è la capacità dell’omeopatia di accompagnare la donna in ogni fase della propria vita, rispondendo alle esigenze terapeutiche e rispettando il ciclo ormonale nella sua evoluzione naturale.
E proprio in relazione a due delle fasi della vita di una donna, la gravidanza e la menopausa, quali pensa siano i benefici dell’omeopatia?
La gravidanza e la menopausa sono due fasi opposte: mentre la prima è la massima esplosione degli ormoni e degli estrogeni, la seconda – durante la quale la donna si congeda dalla ciclicità mestruale – è caratterizzata dalla scarsità di quest’ultimi. Sono, però, entrambe fasi critiche.
Soprattutto nel primo trimestre di una gravidanza, le “armi a disposizione” sono “spuntate” perché la maggior parte dei farmaci non è stata testata e non può essere assunta, per non mettere in pericolo il feto e la gestante. Ecco che proprio durante la gravidanza e la maternità, avviene il primo approccio della donna alla medicina omeopatica, che poi la sceglie come soluzione terapeutica complementare anche per la cura del proprio bambino.
Nella mia pratica clinica quotidiana mi capita spesso, durante la stagione fredda, di ricevere e aiutare pazienti in stato di gravidanza che non potendo assumere altro se non il paracetamolo, decidono di affidarsi a una cura omeopatica, che non presenta effetti collaterali e controindicazioni.
Per quanto riguarda la menopausa, invece, non si tratta di una malattia, è un evento naturale nella vita di una donna. Partiamo dal fatto che in Italia solo una donna su dieci decide di intraprendere una terapia ormonale, le altre nove decidono di sopportare. Ma la cura ormonale può essere assunta per un periodo di tempo limitato, al termine del quale i disturbi legati alla menopausa, come le vampate o le variazioni umorali, si possono ripresentare.
La ciclicità mestruale in media dura 40 anni, per il resto della sua vita una donna non ha le mestruazioni: quindi, per il corpo femminile non essere fertile e non avere il ciclo non è qualcosa di patologico. Ma piuttosto è un periodo durante il quale il corpo deve essere supportato adeguatamente.
L’omeopatia viene in aiuto, consentendo di capire come la paziente sta vivendo la menopausa e quali siano le paure di cui soffre: da quella di vedere sfiorire la propria bellezza, di avere conseguenze sulla sfera sessuale, a quella di ingrassare o ancora, a quella di ammalarsi di cancro al seno se c’è una predisposizione genetica in famiglia.
Nei casi, invece, in cui non è necessario intervenire con una terapia ormonale, come ritiene che la medicina omeopatica si possa integrare con quella convenzionale antidolorifica?
Prendiamo l’esempio di una donna che soffre di mal di testa, senza dubbio gli antidolorifici possono darle sollievo. Ma come ogni farmaco tradizionale se assunto per un lungo periodo può avere effetti collaterali o il corpo può iniziare a rispondere meno, per un principio di abitudine. L’omeopatia dà la possibilità di collaborare, integrando l’azione dell’antinfiammatorio e riducendo la frequenza in cui viene assunto. Non sono rare le esperienze di pazienti che, iniziando una terapia complementare, passano da tre a una pastiglia di antidolorifico al giorno o magari si rendono conto di averne bisogno solo il primo giorno del ciclo mestruale.
Parliamo di relazione con la paziente e del primo potenziale approccio all’omeopatia.
Sicuramente il mio approccio di counseling alle pazienti è cambiato, si è evoluto negli anni. Sono sempre stata felice di poter proporre un’integrazione omeopatica, ma all’inizio della pratica clinica la suggerivo con ardore. Cercavo di convincere le persone, producendo l’effetto contrario. Con il tempo ho capito che era una strategia sbagliata. Oggi, la maggior parte delle pazienti che si rivolgono al mio studio lo fanno perché sanno che impiego medicine complementari. Propongo, così, una ricetta integrata e spiego che l’efficacia della cura dipende proprio dall’assunzione di entrambe le terapie.
L’ho imparato direttamente da Samuel Hahnemann, da una lettera con la quale rispose ai colleghi accademici che gli intimavano di non praticare l’omeopatia: la definì come una pepita d’oro e invitò i destinatari a raggiungerlo, se fossero stati interessati a scoprire il funzionamento della nuova disciplina medica.
Perché lei parla dell’omeopatia come di una medicina inclusiva?
Perché è una medicina grazie alla quale è possibile trovare una soluzione terapeutica per tutti, non lascia indietro nessuno. Prendiamo, come esempio, la mia storia personale: all’età di tre anni ho avuto uno shock anafilattico e una gastroenterite molto gravi, a seguito di un picnic con i miei genitori in un campo dove erano stati spruzzati dei diserbanti. Dai test allergologici ai quali sono stata sottoposta è emerso che il mio organismo era talmente tanto intossicato da non poter assumere alcun tipo di farmaco tradizionale, se non il paracetamolo. Così il pediatra, che mi aveva in cura, ha proposto ai miei genitori di adottare soluzioni terapeutiche naturali e complementari, come l’omeopatia.
Potrei riportarvi tante altre testimonianze: ma ci basta pensare a una donna che non può assumere ormoni perché ha avuto un cancro al seno o a chi non può assumere la pillola anticoncezionale perché ha un precedente di trombosi. Non possiamo dimenticarci di loro e l’omeopatia ci supporta efficacemente.