SALUTE, BIG DATA E ALGORITMI

Michele Mezza, giornalista e docente universitario, si è occupato in un suo recente scritto di pandemia e algoritmi. Inauguriamo con lui una inchiesta in più puntate sulla medicina che cambia.

Apriamo questo nostro viaggio nella medicina che cambia con un “non-medico”, Michele Mezza, un giornalista-filosofo che – con il suo approccio originale – apre suggestivi spunti di riflessione.

Si parla in molti contesti di crisi della medicina. Nel suo ultimo libro Il Contagio dell’Algoritmo (Donzelli Edizioni) lei afferma “Gli apparati amministrativo-sanitari sembrano occuparsi più della dinamica della malattia che del destino dei malati”. È un’osservazione relativa solo alla pandemia o è una tendenza più pervasiva?
È un concetto che ho colto dalle riflessioni che Ivan Ilich sviluppava già negli anni ’80, quando la pandemia non era certo nei pensieri di nessuno. Ilich, acuto e discutibile critico della modernità, con la sua capacità intuitiva aveva capito che la torsione tecnologica da un lato e le pressioni del mercato dall’altro spingono la medicina su segmenti sempre più legati ai punti alti delle sofferenze che a quelli di base. Per cui si curano fenomeni e non persone. Si tratta di una disfunzione che in generale cambia profondamente il lavoro del medico, omeopata o meno che sia. E questo è un fenomeno che oggi risulta ancora più esasperato dall’automatizzazione della relazione sanitaria, dall’irrompere dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi, per cui il dato diventa il vero obiettivo di interesse della macchina sanitaria. La raccolta dei dati diventa l’elemento fondamentale su cui vengono formati gli apparati sanitari ma anche il sistema della ricerca e della produzione di farmaci. Decisivo è, in questa ottica, la modalità con cui vengono raccolti e analizzati i dati: in altri termini – lo si è visto bene nella pandemia – i dati devono avere una struttura precisa, altrimenti sfuggono alla rilevazione. O comunque la qualità dei dati, la loro certificazione devono essere validati e autorevoli, altrimenti succede quel che è successo con la pandemia: le nostre giornate sono state scandite da un valore come l’indice Rt che veniva calcolato e interpretato con vaghezza sconcertante. E questo è il motivo per cui – semplificando – il rischio è che l’eccesso di sacralità o di magia attribuito a una medicina della statistica porti a non considerare con sufficiente attenzione l’individuo, privilegiando le tendenze generali.

Procedendo in questo ragionamento, c’è una frase che lei cita più volte nel suo libro: “È vero quel che è certo, è vero quel che è misurabile”. Questo vuol dire annullare l’esperienza del malato e anche quella del singolo medico. Non passa anche da qui la crisi della medicina?
Questo è un fenomeno che avvolge tutta la società: se diventa fondamentale la funzione della “previsione”, è inevitabile che ci si basi su dei trend piuttosto che sui singoli. L’esasperazione di questo porta a non curare chi sta fuori dai range ipotizzati. Non ci sono né il tempo né i modelli per occuparsi delle eccezioni. E avremo una sanità che sempre di più escluderà ciò che non è conforme a un modello pre-ipotizzato. Messa in questi termini, è una tendenza che consente poco spazio a un approccio terapeutico invece olistico e personalizzato come quello, ad esempio, dell’omeopatia.

Quindi lei è parecchio pessimista…
No, assolutamente. Non voglio dare questa impressione: anzi io penso che stiamo vivendo i 10 anni più felici della sanità. E tutto quello di cui ho parlato offre opportunità straordinarie per rendere anche i prossimi anni felici e unici sotto questo punto di vista. In passato c’era uno squilibrio incommensurabile tra singolo cittadino e struttura sanitaria. Il singolo non aveva gli strumenti per interloquire con gli apparati sanitari. Oggi non è più così: i pesi si sono riequilibrati, il cittadino pretende di capire, sa colloquiare e chiedere al medico, è più informato, sa descrivere i sintomi, spesso ha già in testa una sua diagnosi. Per tornare all’omeopatia, alle persone piace dialogare e essere ascoltati dal medico ed è uno dei valori che tutti – anche chi non la pratica – riconosce a questo approccio terapeutico. È un punto importante che non si deve perdere. Arrivare qui è stato un processo lungo ma non è irreversibile. Bisogna fare in modo che l’algoritmo e i dati non rispondano alle logiche mercantili di pochi, ma – attraverso negoziazioni serrate dei governi e dei cittadini – siano messi al servizio di tutti, cioè siano trasparenti, condivisi e controllabili.

Il rapporto medico-paziente come è cambiato – se è cambiato – per via della pandemia?
Ma, come dicevo prima, è una relazione che è già cambiata parecchio negli ultimi 10 anni. E questo cambiamento è diventato ancora più evidente in questi mesi di pandemia: si discuteva e si discute di vaccini nei mercati. Il rapporto è radicalmente cambiato: il paziente era sostanzialmente una cavia. Oggi non è più possibile un rapporto così squilibrato. Il medico deve saper relazionarsi con il paziente, il paziente ha diritto di accedere al tempo del medico e avere spiegazioni chiare e complete.

Facebook e Google saranno prossimi operatori della sanità? E nel caso come se la caveranno?
Sono già attori, anzi protagonisti della sanità, e con loro Amazon. Sono già i raccoglitori/possessori di masse enormi di dati. La Silicon Valley sta orientando il 40% dei propri investimenti nelle biotecnologie e la piattaforma di Amazon diventerà il più grande ospedale del mondo. Come se la caveranno? Dipenderà dalla forza di contrasto che le istituzioni nazionale e sovranazionali, ma anche i cittadini raggruppati in sistemi (territori, città, eccetera) riusciranno a mettere in campo perché questo patrimonio straordinario diventi a vantaggio di tutti e non solo, non tanto, fonte di profitto e potere per pochi. L’Unione Europea, ad esempio, sta incominciando a muoversi su questo terreno, disegnando alcuni provvedimenti importanti che obbligano alla trasparenza. Per concludere: la capacità di calcolo è una grande risorsa per tutti, oggi selvaggia che deve essere civilizzata.

 

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