4 giorni, 300 relazioni, 40 Paesi diversi dal Brasile alla Corea, dal Canada al Messico, dalla Germania al Sud-Africa. Sono i numeri del secondo Congresso Mondiale di Medicina Integrata, al quale ha recentemente partecipato. Quali sono gli aspetti più importanti emersi?

La prima prospettiva rilevante sulla quale è interessante riflettere è che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha manifestato l’intenzione di continuare a promuovere e sostenere le medicine tradizionali e complementari (MT&C). I primi passi in questa direzione sono state le politiche decennali per lo sviluppo delle MT&C: risalgono al documento per le Strategie OMS sulle MT&C 2014-2023che è stato prolungato per altri due anni in occasione dell’ultima Assemblea Generale OMS, fino al 2025, in cui sarà pubblicato un nuovo documento con valore decennale sulle strategie OMS per le MT&C.

Questa visione è emersa fin dalla cerimonia di inaugurazione del Congresso, durante la quale il Direttore Generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus ha affermato che “per milioni di persone la Medicina Complementare, Tradizionale e Integrativa è semplicemente Medicina, è fondamentale per la loro salute e il loro benessere eppure, troppo spesso, la Medicina tradizionale è stigmatizzata e liquidata come ‘non scientifica’. L’OMS è impegnata a sviluppare le basi scientifiche per sostenere l’uso sicuro ed efficace della Medicina tradizionale in tutti i Paesi”.

Nel suo discorso, il “numero uno” dell’OMS ha più volte ricordato quanto accennato durante il WHO Traditional Medicine Global Summit, che si è tenuto in India lo scorso agosto.

Una vera e propria dichiarazione di consapevolezza di come le discipline mediche tradizionali, complementari e integrative (TCIH) siano considerate la forma di medicina più antica, storica e autorevole in diversi Paesi nel mondo.

Riprendendo proprio il Summit organizzato dall’OMS in India, è stato proposto lo slogan “una terra, una famiglia, un futuro”, che rappresenta bene la consapevolezza condivisa tra i Paesi membri dell’importanza di proteggere la salute del pianeta per preservare quella umana e quella animale e viceversa. È la visione One Health, dove in un mondo interconnesso è essenziale comprendere come combinare metodi e cooperare per una salute sostenibile. Potremmo dire che anche il termine “sostenibile” non è usato casualmente, perché sappiamo che i sistemi occidentali che utilizzano prevalentemente la medicina convenzionale fronteggiano crescenti costi per finanziare il proprio modello di assistenza sanitaria.

Un secondo elemento chiave è la necessità di ottenere le prove di efficacia della medicina complementare e, per quanto ci riguarda direttamente, della medicina omeopatica. In omeopatia si differenzia l’azione primaria, ciò che la sostanza terapeutica fa all’organismo e quella secondaria, come l’organismo reagisce allo stimolo terapeutico.

L’omeopatia si fonda sul principio di minimizzare l’azione primaria e di stimolare, invece, la reazione dell’organismo. È su questa minimizzazione della dose che produce l’azione primaria che si fonda l’accusa di implausibilità che tanto spesso viene usata dai detrattori come arma per accusare l’omeopatia di non essere efficace. Sono convinto che proprio questo passaggio meriti un’ulteriore riflessione epistemologica.

Come si posiziona l’Italia in un confronto europeo e allargando i confini, in un contesto internazionale?

Per rispondere, partiamo dai dati dichiarati dell’OMS, è una fotografia del 2018 ma la situazione attuale non si scosta di molto: sono più di 100 i Paesi nel mondo che integrano e regolamentano gli approcci medici tradizionali con quelli complementari, all’interno dei loro sistemi sanitari. Mentre a livello mondiale sono 97 su 157 gli Stati membri OMS che hanno una politica nazionale, in Europa solo il 21% dispone di un istituto di ricerca per le discipline TCIH.

È un quadro abbastanza eloquente di come la situazione italiana sia nella media europea. Ci sono poi eccezioni o meglio eccellenze, come la Regione Toscana, che mostra come un modello integrativo sia conveniente dal punto di vista economico. E ancora, in Svizzera l’Istituto di Medicina Complementare Regionale di Berna, che ha recentemente pubblicato un riassunto molto esteso e ben documentato delle evidenze scientifiche riguardo la medicina omeopatica. Concludendo questo è il posizionamento italiano, in linea con la media europea, caratterizzata da un certo ritardo, una difficoltà a recepire e accogliere gli stimoli che l’OMS ormai da decenni lancia agli Stati membri affinché́ avviino dei processi di progressiva integrazione della medicina complementare nei sistemi sanitari.

Quali sono gli approcci che i Paesi adottano nei confronti delle medicine complementari rispetto ai loro sistemi sanitari?

Già nel 1984 l’allora Direttore Generale dell’OMS, Halfdan Theodor Mahler descriveva in 4 diversi modelli i rapporti esistenti tra la medicina convenzionale e le MT&C: uno di tipo monopolistico, in cui il monopolio è tutto a favore della medicina convenzionale e non c’è spazio per le altre medicine, uno di tolleranza verso le discipline complementari in cui comunque il sistema sanitario non le include, semplicemente continuano a esistere a lato in quella che è la forma privata di interazione tra il medico e il paziente, uno di parallelismo dove i due sistemi procedono in parallelo e infine, uno di integrazione.

In quest’ultimo, la formazione a livello accademico nelle università̀ sull’omeopatia è al pari di quella sulla medicina convenzionale, ma è un modello raro. Paesi come Cina e India sono esempi di parallelismo-integrazione.                                                

In Italia c’è indubbiamente un atteggiamento di tolleranza verso le medicine complementari. Basti pensare che sono passati dieci anni dall’accordo Stato-Regioni, che prevede l’istituzione di apposite commissioni regionali per l’accreditamento delle scuole di formazione, consentendo ai medici diplomati di iscriversi ai registri presso gli ordini professionali territoriali. Ma attualmente si sono attivate solo quattro regioni e una provincia autonoma.

Un’altra condizione che non gioca a favore è l’atteggiamento di chiusura da parte del mondo accademico, luogo privilegiato per la ricerca. Come abbiamo già avuto modo di anticipare, ciò che viene costantemente chiesto all’omeopatia è di produrre prove di efficacia, ma per farlo è necessario fare ricerca e avere finanziamenti.

“One Health, One Medicine” è stato il titolo del suo intervento. Ce ne parla?

Come dicevo, One Health è il modello di salute promosso dall’OMS che si basa sulla consapevolezza che la salute umana, quella animale e quella ambientale sono strettamente interconnesse e non possono prescindere l’una dall’altra.

Nel mio intervento ho voluto spiegare che, come FIAMO, è stato implicitamente adottato l’approccio One Health fin dalla nascita, essendo una società medico-scientifica costituita da medici omeopati, veterinari, farmacisti e agronomi. E, fin da subito, abbiamo cercato di supportare le dimostrazioni scientifiche dell’efficacia dell’omeopatia.

Prove che si palesano in tutti i livelli. Dalla ricerca fondamentale, che mostra come il preparato omeopatico abbia specifiche caratteristiche fisico-chimiche diverse dalla semplice acqua, a livello delle evidenze di laboratorio sui modelli vegetali o cellulari, fino al livello clinico, grazie alle ricerche sui pazienti e agli studi randomizzati e in cieco. Lo ha sostenuto anche Alexander Tournier, fondatore dell’HRI, in una recente relazione nella quale ha dichiarato che la qualità deglistudi che mostrano evidenze di efficacia per l’omeopatia è comparabile con quella relativa alla medicina convenzionale.

Con il termine One Medicine facciamo, invece, riferimento a una medicina unica nella quale siamo consapevoli che esistono due meccanismi d’azione, quello per similitudine e quello per contrari e sappiamo che alcune terapie, in primis l’omeopatia, cercano di stimolare la reazione dell’organismo e altre cercano di agire sull’organismo. In base alla patologia, alla condizione del paziente e così via, ogni medico decide quale strumento deve adottare per trattare ogni singolo caso nel modo più rapido, più sicuro, più efficace e più permanente. Si cerca così di riunire la medicina in un corpus unico, come faceva la medicina ippocratica, che anticamente non separava i due principi fondamentali di cura, ma li riconosceva nella loro specificità̀.